Ed io?

La scorsa settimana sono andato in visita presso il monastero di Santacittarama, dove mensilmente vi è la possibilità di incontrare un monaco anziano che presta la sua saggezza al servizio delle molteplici domande che i presenti possono avanzare, scrivendole semplicemente su un biglietto di carta. La struttura è incastonata nella meravigliosa valle al confine tra i comuni di Poggio Nativo e Frasso Sabino, a poco meno di un'ora da casa nostra. Ho pensato immediatamente di avere una grande fortuna e che la scelta di vivere distante dalla capitale mi ha sempre riservato sorprese piacevoli ed intense negli ultimi nove anni. Visto il diluvio di quella giornata, che ha deciso di cessare esattamente 5 minuti prima dell'inizio della sessione, sono entrato affannato e riconoscente, perché in fondo il viaggio era andato a buon fine senza particolari problemi. Ho così pensato istantaneamente ad un quesito da porre al Monaco. La domanda suonava più o meno così: come è possibile in un mondo interconnesso continuare a coltivare la qualità delle relazioni umane?
La risposta che ne è seguita è apparsa inaspettatamente in sintonia con le mie ultime scelte di vita. Guardando le 20 persone presenti, e dopo aver riflettuto, ha risposto: prima di coltivare l'interdipendenza occorre lavorare sul principio di qualità dell'indipendenza. Per essere davvero di aiuto agli altri è necessario aver chiaro il proprio centro e da questo, e soltanto da questo, irradiare con la propria consapevolezza ogni vita che incontriamo sul nostro cammino.
Non nascondo una certa commozione nella aver ascoltato parole che cadevano chirurgicamente nel processo delle mie intenzioni presenti.
Abbiamo attraversato due anni di infinite paure dettate perlopiù dall'ignoranza di non sapere con cosa avessimo esattamente a che fare durante la pandemia. Neanche il tempo di tornare ad una finta ordinarietà che immediatamente la crisi economica precedente, si è legata indissolubilmente con quella attuale dettando nuovi equilibri politici internazionali. Al terrore delle morti e delle malattie si è aggiunto un nuovo stato di incertezza che permea il nostro presente collettivo e pone a duro rischio la nostra capacità di saper cogliere la profondità della vita stessa mentre si dispiega. Siamo ancorati alle viscere dell'insicurezza e questo clima malsano ed improduttivo genera ed accresce il desiderio, superficiale e umano al contempo, di scovare un colpevole su cui riversare la nostra rabbia e il desiderio di rivalsa. Ci conduce in una terra distante dal nostro centro. Pochi mi pare si interroghino sulla questione fondamentale: come siamo arrivati qui?
In qualche modo sgranare i giorni uno dopo l'altro, favorisce ed alimenta l'illusione che ciò che è stato continuerà ad essere e che pertanto le crisi, non a caso vengono definite tali, siano soltanto momentanee. Questo concetto, per quanto possa essere corretto sul piano fenomenologico, è totalmente errato se osservato sotto la lente di una logica più audace e coscienziosa. Non si tratta infatti di un incidente, un imprevisto dettato dalla fortuita combinazione di eventi. Quanto stiamo vivendo è frutto primariamente della nostra incapacità di vedere oltre ciò che abbiamo e che riteniamo sia giusto possedere seppure a spese di qualsiasi altro essere vivente. Ciò per cui pensiamo di dover lottare ogni mese e di fronteggiare con un impiego esponenziale delle nostre energie, è destinato inevitabilmente ad una precarietà evanescente. Per decenni i nostri governi e le politiche commerciali ci hanno falsamente indotto a ritenere che ogni bene disponibile fosse anche necessario. Che tutti, ma proprio tutti, potevamo ambire ad una qualità di vita materiale agiata e priva di compromessi. Un argomento non certo nuovo ma sempre di infallibile presa sulla mente umana, così dannatamente destinata ad impigliarsi tra le maglie delle ambizioni e delle gratificazioni immediate. Tanto più siamo diseducati al processo di cura e di attenzione profonda, quanto più la bramosia impazza, alla ricerca di oggetti fulminei, capaci di ricondurci alla quiete interna, sempre provvisoria ed apparente. Questo processo, nel corso degli anni, è giunto a stratificarsi falda dopo falda, fino ad indurirsi e diventare crosta. Ma esattamente come accade alla nostra Terra, il magma che ribolle continua a lanciare segnali di presenza. Emergono così distonie, depressioni, insoddisfazioni, cannibalismo mediatico. Privi di un centro siamo destinati a nuotare senza sosta intorno alle insidie della periferia esistenziale. Mentre perdiamo ogni occasione di saggiare la tangibilità, l'eccezionalità e l'unicità di essere dati come organismi senzienti. Ogni volta che l'intero sistema capitalistico sembra procedere verso morte sicura, ecco che giunge una nuova iniezione di vita: il bonus per l'energia, i bonus libri, il bonus per la connessione, etc. In questo modo si tiene in vita il desiderio di tornare a ciò che era senza impegnarci a cambiare ciò che è e che probabilmente sarà destinato ad essere.
Nella propaganda elettorale che martella quotidianamente ogni passaggio televisivo, social o radiofonico, la promessa più o meno esplicita è quella di avere la certezza di saper individuare l'origine del problema. Il reddito di cittadinanza, l'immigrato, l'omosessuale, l'aborto, è così via all'infinito. Sono esche gettate nella profondità del lago in attesa dei pesci giusti, guarda caso affamati, pronti ad afferrarle. Non è forse un caso che nessuno dei cosiddetti salvatori della Patria abbia inserito nel proprio programma l'educazione sistematica alla sostenibilità, alla sensibilità e alla rigenerazione ambientale. Perché non è popolare spiegare alle persone che il sistema, a cui ci hanno chiesto di aderire incondizionatamente per oltre due secoli, non ha più ragione di esistere. E forse non l'ha mai avuta veramente. Perché in un'Italia che si è sempre avvalsa del principio della delega irresponsabile, chiedere di impegnarsi in prima persona per produrre un cambiamento che riguarda ogni singolo cittadino del mondo, è ritenuto disturbante, velenoso e ridicolo. Perché se rinunciamo a credere, come ci ricorda Savater, che vi sia qualcuno che abbia la soluzione in mano pur essendo causa dello stesso problema, la nostra grande illusione di continuità infinita ne soffrirebbe e saremmo necessariamente obbligati a chiederci: qual è stata la mia responsabilità in tutto questo?
Autore Fabio Olivieri